Eccoci al consueto appuntamento mensile con la Commedia e con Riccardo Pratesi che, con la consueta generosa disponibilità, oggi recita per noi l’XI canto del Purgatorio.
E’ questo il canto dei Superbi: Dante e Virgilio li incontrano nella prima cornice del Purgatorio, dove le anime sono costrette ad espiare il loro peccato camminando con un pesante masso sulla schiena; per la legge del contrappasso, coloro che mai in vita vollero piegarsi e che ebbero sempre un’opinione troppo alta di se stessi, devono ora restare chinati in segno di umiltà.
Nel faticoso cammino verso la vetta del Purgatorio le anime penitenti, riconoscendo la loro fragilità e dichiarandosi accomunate in quanto figli di un unico Padre, innalzano il canto del Padre Nostro, affidandosi alla Volontà divina che sempre sopravanza ogni progetto umano.
Il canto induce Dante a una serie di riflessioni sul tema del valore della preghiera, sia per il fondamentale ruolo che essa assume per i penitenti rispetto a Dio e all’attesa beatitudine che raggiungeranno alla fine del loro percorso di espiazione, sia riguardo all’importanza attribuita alle preghiere dei vivi per la salvezza delle anime defunte.
Fondamentale è poi l’aiuto della Grazia divina, poiché da sola l’umanità è impotente a ricevere il perdono.
“Vegna ver noi la pace del tuo regno,
ché noi ad essa non potem da noi,
s’ella non vien, con tutto il nostro ingegno.”
Dante poi passa a considerare la fugacità e la caducità della fama terrena e condanna i comportamenti di coloro che, spinti da uno sfrenato orgoglio e dall’arroganza ebbero un’eccessiva fiducia nelle loro capacità, mostrando disprezzo nei confronti del prossimo.
I tre personaggi incontrati in questa prima cornice rappresentano una trilogia di modelli negativi dello stesso vizio, la superbia, il più grave dei peccati, che è alla radice della colpa originale, dell’illusione di poter essere come Dio.
Lo smisurato orgoglio politico di due senesi, Omberto Aldobrandeschi, che incarna l’arroganza e il disprezzo della nobiltà di sangue e Provenzano Salvani, artefice della vittoria di Montaperti, che ebbe la presunzione di voler divenire padrone assoluto della sua città, rappresentano esempi di quanto la posizione sociale e l’eccessiva ambizione politica possano condizionare negativamente i
comportamenti umani.
Fra questi due esempi di superbia in campo politico, si colloca Oderisi da Gubbio, il miniatore umbro che probabilmente Dante ebbe modo di conoscere a Bologna, che incarna l’orgoglio smisurato degli artisti, che, incapaci di riconoscere i meriti altrui e accecati dal desiderio di raggiungere l’eccellenza, non si accorgono della fragilità della loro fama, destinata presto all’oblio.
“Non è il mondan romore altro ch’un fiato
Di vento, ch’or vien quinci e or vien quindi,
e muta nome perché muta lato.”
Questi aspetti della creatività artistica che Dante mette in rilievo sono senza dubbio legati alla sua esperienza di vita; nelle parole di Oderisi possiamo forse leggere una sorta di autoravvedimento del poeta, consapevole di essere anche lui incorso nel peccato di superbia, sia nella sua arte letteraria che nella vita pubblica.
L’ultima terzina del canto, in cui Oderisi gli profetizza, con oscure parole, l’esilio rappresenta forse la strada per il perdono che potrà ottenere con l’umiliazione di sé, umiliazione che presto, grazie ai suoi concittadini, sarà costretto a sperimentare.
Riccardo Pratesi, laureato in Fisica, Dottore di Ricerca in Storia della Scienza.
E’ docente di Matematica in istituti di istruzione secondaria superiore ed è collaboratore del “Museo Galileo-Istituto e Museo di Storia della Scienza” per le attività didattiche e divulgative.
E’ curatore del volume “Galileo Galilei: due lezioni all’Accademia Fiorentina circa la figura, sito e grandezza dell’Inferno di Dante”, edizioni Sillabe, Livorno, 2010.
Appassionato e profondo conoscitore della Commedia, è curatore di alcuni canali Youtube di recitazioni dantesche e di questioni matematiche.
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